Non c'è un posto sicuro

Quando le giornate sono piene di persone care, affetti, vino e rumori, quelli dei bambini che giocano e che litigano, che si cercano e si cacciano via, quelli delle discussioni accese su argomenti che vanno dall'opportunità delle vaccinazioni alla gestione delle frontiere, dal modo corretto di rapportarsi con un figlio adolescente in piena fase di ribellione, alla presenza o meno di alcune specie nella fauna selvatica sarda, è facile lasciarsi distrarre, essere assorbiti da mille piccolezze, che in quel momento richiedono però tutta la nostra energia mentale, e magari non accorgersi che nel mondo sta succedendo l'ennesimo disastro, che persone ignare vengono investite e accoltellate gratuitamente per strada da due giovani pazzi col cervello fuso che fingono di portare avanti la loro guerra santa.
E quando la notizia ti arriva è sempre un pugno allo stomaco, una sorta di senso di colpa misto a rabbia e rassegnazione, ed immediatamente la ricerca di un modo per spiegare, minimizzare, ridimensionare, per non ammettere che siamo indifesi e impauriti, per non cedere al pessimismo e alla negatività e, soprattutto, agli atteggiamenti reazionari e all'invocazione di derive autoritarie provenienti da più parti e, in primis, da parte della mia famiglia!
E' dura mantenere la calma, è dura mantenere anche una posizione, battersi per la propria visione possibilista del mondo, perché in effetti le cose vanno da schifo, è innegabile, perché se da una parte resto convinta della necessità e inevitabilità dell'accoglienza, anch'io trovo scandaloso che chi si vede negato l'asilo non venga rinviato a casa ma si aggiri e si arrangi in giro per il paese, in modo clandestino e non sempre dandosi ad attività innocue; anch'io trovo inconcepibile che senza documenti di possa andare e tornare, sparire o stare indisturbati per strade e piazze, arrivando a volte ad usare l'aggressività per ottenere ciò che si ritiene un proprio diritto.
E mangiare, vivere decentemente, è davvero un diritto, ma pensare che chi è italiano e ha un auto sia per forza un nababbo e debba perciò finanziarti ed essere sempre ben disposto in quanto tu sei lo sfigato che ne ha patite tante, questo non lo accetto.
Anche tra di noi in tanti hanno i loro bei casini e serie difficoltà a stare a galla, e quando si sentono minacciati da emigrati che più che chiedere pretendono, forse posso arrivare a capirli, a capire il disordine che ne deriva.
Non lo giustifico, ma capisco.
Però so che, se ho il diritto di difendere la mia casa, la mia proprietà, non altrettanto posso fare con il mio paese, so che non si può negare a chi ha bisogno di protezione una via di salvezza, so che non si può biasimare chi non trova sostentamento nel suo paese e viene nel nostro.
Penso solo che le regole debbano essere rispettate, da tutti, anche da chi arriva da fuori. Penso che le regole siano sufficienti ma la vigilanza sul loro rispetto NO.
Penso che in questo paese manchino ancora la serietà e l'onestà intellettuale necessarie per gestire questo fenomeno così come quelli nostrani tutti connessi alla legalità o, meglio, all'assenza di senso di responsabilità.
Di una cosa sono certa: non voglio che mio figlio cresca pensando che chi arriva nel suo paese sia necessariamente un pericolo, un nemico, un usurpatore. Voglio che impari ad essere prudente senza mai scadere nella diffidenza gratuita o, peggio, nell'odio e nel rifiuto dell'altro.
E' difficile, davvero difficile, e se lo è qui, che comunque ancora non si ha la percezione di un'invasione e di un pericolo imminente, non riesco a immaginare quanto debba essere dura restare obiettivi ed educare i propri figli all'apertura in regioni in cui l'incidenza dell'immigrazione è maggiore e la sua ricaduta sulla vita quotidiana evidente e a volte pesante da gestire.
Facciamo quel che possiamo, ci proviamo. Io e Marco manteniamo un atteggiamento positivo e spieghiamo a Luca che ci sono persone, tante persone, tanti bambini, che hanno bisogno di noi, che per responsabilità non loro si trovano a vivere delle vite insostenibili, infelici e a rischiare quelle stesse vite ogni giorno.
Gli insegniamo che è responsabilità di tutti noi che stiamo meglio farcene carico, aiutare ed essere pronti a rinunciare a qualcosa per loro, in un modo o nell'altro. E non per questo penso che sia a rischio la sua identità di sardo, di italiano, di europeo.
Il suo ormai è un mondo globale, nel bene e nel male. Va conosciuto, va gestito, va accettato per quel che è, facendo ognuno la propria parte in proporzione a capacità intellettuali e possibilità finanziarie per poterlo migliorare.
Non ho molto altro da insegnare in proposito.

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