Jane Austen, una scoperta

A poca distanza dalla lettura di "Emma", mi trovo immersa in "Orgoglio e pregiudizio", entrambi di Jane Austen. E non uso il termine "immersa" per caso, è che proprio mi sento trascinata dentro quel mondo ottocentesco fatto di rituali, cerimoniosità, un continuo darsi del Voi persino tra amanti.
Un mondo in cui quasi tutto il tempo è dedicato all'arricchimento di sé, sia in senso culturale (difficile trovare un personaggio che non si dedichi alla lettura o almeno a una qualche forma d'arte), che economico (è tutto un continuo tramare per accaparrarsi il partito migliore, uomo o donna che sia, quello con la rendita maggiore, che possa far uscire da situazioni anche disastrose il/la malcapitato/a).
Il tutto infarcito di passeggiate, visite da fare e da restituire, viaggi, balli, banchetti e grandi discussioni di gruppo sugli argomenti più disparati, da quelli più banali come l'etichetta, a quelli sociali e politici.
Certo, nelle opere della Austen prevale l'aspetto romantico e femminile, non necessariamente frivolo ma, certo, molto centrato su famiglia e ricerca ossessiva del giusto matrimonio.
Ma l'ambientazione fa sì che sia confermata la mia passione per i romanzi dell'800, europei e russi.
E lei non sarà un Tolstoy ma è davvero brava a raccontare le donne di quel tempo, a volte frivole e superficiali, disposte a tutto pur di sistemarsi, a volte "con le palle", tipe che, considerando in che epoca e in che mondo vivevano, erano così forti da pretendere di decidere della propria vita. E lo facevano apertamente o con sotterfugi, ma sempre con la forza necessaria al raggiungimento dell'obiettivo prefissato, fosse anche il semplice rifiuto del matrimonio.
Donne che non si sentono inferiori agli uomini, che si confrontano con questi, che studiano, sono in grado di sostenere discussioni a vari livelli, che, in fin dei conti, orientano gli avvenimenti e la vita familiare e di società come meglio credono, anche facendosi la guerra tra loro.
Sarà che io alla complicità femminile ci ho sempre creduto poco, sarà che le donne che prendono il loro spazio senza sentirsi messe in un angolo le ho sempre ammirate, ma resta il fatto che quelle donne mi affascinano, spesso molto più di quelle raccontate nella letteratura moderna.
Certo, queste donne sono tutte rintracciabili nella fascia alta della società, in ambienti elitari, che vivono di mondanità e che, quando proprio si trova un personaggio che sta andando in rovina economica, semplicemente lo si vede obbligato a svolgere un lavoro per guadagnare il denaro invece che riceverlo passivamente.
Ma è bello lasciarsi rapire da quella fetta di società, da quelle storie, dagli intrighi, dalle passioni non mitigate dall'urgenza del bisogno economico.
Il resto fa da contorno e, comunque, ognuno racconta ciò che conosce.
Insomma, consiglio a tutti la lettura della Austen, forse più alle donne che agli uomini...ma vale la pena. Io continuo...

"mamma, le femmine non si possono uccidere!"

E in questi giorni in cui si discute in parlamento un disegno di legge sul femminicidio, ecco che mio figlio, 5 anni, come al solito puntuale (casualmente) sull'argomento, ci ha annunciato la sua nuova filosofia: le femmine non possono essere uccise, neanche gli insetti femmina, e i conigli e le pecore e tutti gli animali di sesso femminile non si possono mangiare!
Per lui anche le zanzare che senza pietà facciamo fuori, sono tutte maschi, ne è sicuro! Perché le femmine sono buone e, comunque, non si possono toccare.
Nella sua testolina so che il principio è dettato dalla speranza che esista una sorta di protezione per tutte le mamme, umane e animali, che devono accudire i loro piccoli e star loro vicino per sempre. Lui ha bisogno di pensare che io sono al sicuro, che il ruolo di mamma lo sia.
Vorrebbe la certezza di non potermi perdere mai, perché per lui, nonostante tutto, valgo sempre qualche punto in più del padre, per quanto lui si faccia in quattro per farlo divertire, per dargli tutto ciò che desidera. Ogni sforzo è vano.
Io, per quanto scostante, nevrotica, spesso sfuggente, poco propensa al gioco ma molto alle coccole, sono l'elemento essenziale nella sua vita, irrinunciabile.
E così pensa debba essere per tutti i bambini e per tutti gli animali.
Quando sa che un bambino ha perso la mamma, subito afferma che al più presto ne avrà una nuova, che il papà ne sposerà un'altra, perché senza mamma non si può stare.
E anche le femmine che non hanno figli per lui hanno già un valore intrinseco, dato dalla possibilità che, un giorno, assurgano al rango di madri, quindi intoccabili.
Il tutto mentre il mondo va nella direzione opposta, mentre essere donna spesso significa essere succube della violenza fisica o psicologica degli uomini di riferimento, di quelli amati o che ci hanno amato (o, peggio, che dicono di amarci e con questo pretesto diventano aggressivi).
Ed essere madre peggiora soltanto le cose, spinge molte donne a fare da scudo, a sottostare a certe imposizioni per proteggere i figli o comunque ad essere remissive nella convinzione che questo possa servire a proteggere i figli dal dolore e dalla violenza.
Il più delle volte è l'esatto contrario. Essere passive, docili, insomma sacrificarsi, porta solo maggiore disagio per bambini che assistono impotenti a scene di violenza verbale o fisica, bambini che, nel profondo, vorrebbero che la loro mamma trovasse il coraggio di abbandonare un compagno e padre inadeguato, per scappare lontano da lui, per vivere una vita felice.
Tollerare la violenza non fa che rafforzarla, giustificarla, renderla un elemento normale della convivenza o del rapporto di coppia. Così non è e non può essere.
Non ho mai vissuto esperienze di questo genere in coppia ma, certo, sono stata una bambina che ha sperato di vedere mamma far le valigie per portarci via con lei quando mio padre era insopportabilmente severo, geloso, iroso.
Col tempo le cose sono cambiate, tanto che lui oggi mi dice "lo so che voi figli non mi avete voluto bene, ma io lo facevo per voi, ero severo perché volevo tenervi al sicuro.." e se ne dispiace, lo so.
Oggi mi ritrovo a dirgli, sinceramente, che gli voglio un bene immenso e che gliene ho sempre voluto, pur con tutti i contrasti che ci sono stati tra noi. Lui è il mio punto di riferimento, gli somiglio nel bene e nel male e il suo giudizio per me è sempre importante, anche se lo scontro persiste.
La nostra situazione non è mai arrivata al disastro ma resto convinta che, in quegli anni, una presa di posizione più forte e decisa da parte di mamma avrebbe reso tutto più semplice.
E qui la chiudo, aggiungendo comunque che, ancora una volta, non trovo opportuno istituire un reato specifico per qualcosa che è un omicidio, magari con l'aggravante della sopraffazione sul sesso femminile, ma non è un reato a se stante. Gli uomini in certi casi sono a loro volta vittime di stalking o peggio.
Quella tanto declamata parità tra i sessi ce la vogliamo riconoscere o no? Pretendiamola, non continuiamo a inventare eccezioni, corsie preferenziali, a farci considerare qualcosa di fragile da tutelare con leggi speciali.
Non siamo il sesso debole, non se ci crediamo!

capelli bianchi quanto vi odio!


pronta per un'altra tintura fai da te... 
Quanto era bello quando i miei capelli erano solo i capelli da idratare, pettinare, spettinare, tagliare ogni tanto solo per cambiare look nei momenti di crisi, tenere lunghissimi quando ero in pace con me stessa.
Adesso è un incubo, per me che non amo andare a farmi manipolare da soggetti che lo fanno di professione, come estetisti, massaggiatori e, naturalmente, parrucchieri.
E tutto a causa del bianco che incombe, che, facendo capolino circa 6 anni fa con i primi capelli scoloriti sulle tempie, che regolarmente staccavo ed eliminavo senza pensarci troppo, tanto erano due o tre, si è fatto strada sulla mia testa gradualmente ma, ormai, in modo irreversibile e sempre più invadente.
Ormai quegli odiosi capelli bianchi sono ovunque, ispidi e difficili da domare, crescono così velocemente che la colorazione (pratica a cui mi sono dovuta alla fine piegare!) dura sempre meno.
E non basta più Casting Creme Gloss di l'Oreal per garantirmi il mio castano chiaro, ora uso Excellance (stessa marca) che copre meglio e, mi pare, li rovina di più! Perché ormai senza ammoniaca non copro più nulla.
Non avrei mai voluto diventare schiava di queste pratiche, che tra l'altro diventano un'incombenza da svolgere a casa, un po' per risparmiare denaro e un po' per evitare ulteriore stress in odiosi e chiacchieroni saloni di parrucchiere.
Ma veramente ne ho le palle piene di colorare e vedere che, entro due settimane, il bianco è di nuovo visibile, sta lì a caricarmi almeno 3/4 anni in più sulla groppa, perché niente invecchia come i capelli bianchi, neanche le rughe.
Li odio e odio sapere che non c'è rimedio, non uno definitivo, come piacerebbe a me.
Sono in piena fase di estirpazione peluria sul corpo con il laser, soddisfatta dei risultati per ora, anche se ho fatto solo 3 sedute. Ma non esiste un laser per i capelli? Un qualcosa che li costringa a recuperare la pigmentazione originale, senza condannarci a questi riti di ristrutturazione che odio e  che, di conseguenza, trascuro?
Infatti spesso passano settimane prima che io trovi tempo e voglia di porvi rimedio, e intanto mi guardo allo specchio insoddisfatta ricordando a me stessa che sto invecchiando e che, si, si vede proprio, ché ché ne dicano gli altri (che sono gentili nel negare l'evidenza ma di sicuro non consolano!).
Proprio in questo momento so di avere una sfilza di capelli bianchi in bella vista e so già che nel fine settimana non avrò un attimo di respiro per occuparmene.
Ho anche provato uno spray colorante temporaneo, sempre l'Oreal, acquistato on line per poi scoprire che lo vendevano anche al market!
Ma io non riesco proprio a smettere di toccare i miei capelli, mossi e solitamente tenuti sciolti, per cui le mie mani non fanno che scuoterli, sistemarli, spostarli, tirarli indietro. E così ho scoperto che quella roba mi si attacca alle dita e alle unghie, che è decisamente più sgradevole ritrovarmi con la punta delle dita marrone che non con qualche capello bianco in testa!
In ogni caso non credo che li lascerò mai al naturale, non mi piacciono i capelli bianchi o grigi, li tollero giusto nelle vecchiette stile nonnina di Peter (parlo di quello di Heidi), o stile mia nonna. Io però non voglio essere così. E non sono abbastanza femminista per farne un motivo d'orgoglio.
Mi piace piacermi e piacere, inutile negarlo.
Quindi adesso mi metto sotto e invece di continuare a scrivere mi dedico un po' a questa testa disordinata!
Buona colorazione a tutti!

Township, la mia droga

LocandinaSaranno ormai 4 mesi che ho scoperto questo gioco, io che non ho mai amato i videogiochi o tutto ciò che riguarda consolle, joystick e simili.
Neppure da giovanissima al Bar mi lasciavo prendere dai giochi a gettoni, anche perché avrei finito i soldi in una nanosecondo, essendo una vera schiappa!
Ed è dovuto arrivare Luca, anzi, è dovuto crescere fino ai 4 anni, fino ad interessarsi ai giochi sul telefono e spingerci, per fare in modo che non mettesse mano ai nostri cellulari, ad acquistargli un tablet, uno scarsino, solo per giocare.
Ed è stato l'inizio di un qualcosa che, se non posso definirlo passione, certamente posso identificarlo come DIPENDENZA.
Una dipendenza innocua, visto che neanche sotto ipnosi potrebbero convincermi a sborsare soldi per avere qualche chance in più di progredire nel gioco, ma pur sempre una vera dipendenza da gioco, una ludopatia direbbe qualche psicologo.
Pian piano questo giochino apparentemente noioso, semplice e monotono, si è fatto strada nel mio cassetto del cervello dedicato ai passatempi piacevoli, fino a diventare la prima cosa che cerco appena rientrata a casa dal lavoro o da qualunque altra uscita.
La prima se non c'è mio figlio nei paraggi, la prima dopo che mi sono cambiata e messa comoda, diciamo che il tablet (che poi ho acquistato anche per me) è diventato un compagno che mi sta accanto persino mentre sto a tavola, a pranzo e a cena, che spinge Marco a riprendermi come si fa coi bambini, facendomi notare che non do proprio il buon esempio a Luca (che, comunque, guarda la TV mentre mangia e ormai ha perso interesse per questo tipo di giochi, tanto che il suo tablet è parcheggiato da tempo!).
E' un gioco, tra i vari che riguardano la costruzione di città virtuali, che tanti conoscono, amano odiano, ma che io ho scoperto solo quest'anno e che, con mia grande sorpresa, mi rilassa e mi consente di tenere quell'ordine che, invece, non riesco più a tenere nella mia vita.
Credo sia proprio questo il suo ascendente su di me: costruisco una città che cresce pian piano, con le sue attività agricole, artigianali, industriali, commerciali, la sua miniera, gli scambi commerciali, persino uno zoo (che è la cosa che apprezzo meno, visto che gli animali in cattività non li tollero neanche nel mondo virtuale).
Ed è la mia città, con le sue vie ordinate, i prati, gli alberi, le casette ben disposte, i laghetti e i cespugli fioriti, con tanta gente che lavora, passeggia, silenziosa (io almeno ci gioco senza audio!) e sempre in pace, sempre col sole.
E' una piccola oasi, un rifugio, è un nuovo modo per mantenere il controllo.
Gli altri giochi non li degno di grandi attenzioni, solo township riesce a rilassarmi e farmi persino sorridere soddisfatta ad ogni passaggio di livello!
Sarò pazza? Forse...
Ma guai a chi tocca la mia città neonata!

Quando trovi una storia e dici "Cavolo, potrei essere io!"


Sono capitata per caso tra le pagine di questo libro, senza alcuna aspettativa, visto che non conoscevo l'autrice, come faccio spesso con i libri che acquisto solo perché sono o promettono di essere dei thriller coinvolgenti.
Letture non troppo impegnate che alterno ad altre, certo, ma che divoro con immenso piacere.
E stavolta, fin dalle prime pagine, mi sono ritrovata, incredula, a pensare "Cavolo, potrei proprio essere io! Pensa le stesse cose che penso io!".
Perché "Fragili e preziose" di Megan Hart, è un libro sicuramente senza pretese, a tratti un po' inverosimile, però per me ha fatto centro, descrivendo la parabola discendente di una madre di due figli piccoli, che anela soltanto a un po' di pace, di silenzio, di spazio per sé e per le sue cose.
Una che vorrebbe persino, e felicemente, pulire casa, purché potesse farlo senza sentire i continui richiami, le lamentele, le richieste dei suoi bambini e, nel suo caso, di un marito (marito che invece non è un problema per me...).
Certo, la situazione in cui viene a trovarsi è particolare, la scelta che fa ancora di più. Ma l'ho capita, per quanto incredibile e folle, perché la sua testa era quasi la mia testa.
Questa donna sceglie in una frazione di secondo di non fuggire, pur avendone l'occasione, da un rapinatore (che poi diventa rapitore), pur di non dover tornare a casa dai figli e alla solita monotona, sfiancante vita.
Questa donna coglie la prima occasione inaspettata per fuggire, a suo modo, senza doversi sentire in colpa per l'abbandono.
Questa donna è una donna consumata dalla responsabilità, dal senso del dovere, dal suo essere esigente con se stessa, precisa, ordinata, dal suo essere una buona madre e una buona moglie.
Questa donna si caccia nei guai e forse si pente di averlo fatto...non lo so, non ho ancora finito il libro.
Ma non importa, almeno fino a un certo punto questa donna ha parlato per me, ha espresso ciò che io provo ogni giorno, la stanchezza fisica e mentale che mi attanaglia e mi fa sentire in trappola.
Non sarà un problema se il libro si rivelerà deludente, fin qui mi ha già dato abbastanza, mi ha dato ciò che non mi aspettavo di trovare scritto così limpido e così innocente.
Proseguo la lettura, comunque vada, Grazie Megan!

Mamma, come sono entrato nella tua pancia?

E' da almeno un anno che Luca è diventato curioso sulla sua nascita e sul suo "esser stato bebè", fa domande, riflette sulle risposte, ne ride, intenerito dall'idea di essere stato piccolissimo, di aver ciucciato il latte dal mio seno per più di un anno, di essere diventato gradualmente quel che è.
E soprattutto non si capacita del fatto che non riesca a ricordare niente di tutto ciò, diventando nostalgico nel ricordo di qualcosa che non ricorda.
Ha 5 anni, è in una fase di crescita delicata, quella in cui si sente combattuto tra il voler essere considerato e trattato da grande e il bisogno, spesso rivendicato, di essere ancora piccolo, un cucciolo da coccolare.
Gli piace farsi raccontare di quando stava dentro la mia pancia, di quanto era movimentato, di quanto sgomitava e singhiozzava, d come si facesse vedere con spuntoni e protuberanze su quel pancione che prendeva vita.
Già allora era movimentato e rubava la scena a me e a chiunque intorno.
Non nasconde che vorrebbe provare ancora quelle sensazioni di cui non ha ricordo, che vorrebbe stare dentro di me, forse per starmi più vicino.
E' orgoglioso del fatto che abbiamo avuto un legame così profondo e del fatto che l'ho allattato. E' innegabile che, per quanto a volte io sia scostante e non ami giocare con lui, mentre il padre lo fa e lo fa pure volentieri, inevitabilmente tra madre e figlio si crea un legame speciale, che nasce da qualcosa di cui io non ho merito.
Sento quanto sono importante per lui, sento di essere la sua prediletta in questa fase della sua vita.
E così sono anche quella a cui fa le confidenze sulla sua fidanzata che vorrebbe baciare mentre lei dà i bacetti sulle labbra a un altro compagnetto (sono certa, col chiaro intento di farlo ingelosire! sembra prematuro ma ho visto delle scene che tolgono ogni dubbio!), sul suo pisellino che diventa grande quando lo tocca, sul suo amore per la maestra di turno...
E a me anche le domande, quelle che tutti i genitori sanno che arriveranno ma per le quali, alla fin fine, non si è mai pronti.
Io ho sempre pensato che sarei stata chiara, sincera, quasi asettica nel dare le risposte. E non c'è stato nessun problema finchè chiedeva da dove uscivano i bambini dopo essere cresciuti in pancia, da dove esce la pipì nelle femminucce che non hanno il pisellino ma solo la farfallina, quanti buchini hanno le femminucce, quanti ne ho io, dove e così via...
Poi è arrivata la fatidica domanda "come sono arrivato nella tua pancia?", e allora ho risposto che i maschi producono dei semini mentre le femmine degli ovetti e che quando due di questi si incontrano e magari si uniscono, si forma un embrione, un esserino piccolissimo che poi diventa un bambino piccolissimo e poi sempre più grande...
E per qualche settimana gli è bastato, non ha chiesto di scendere nel dettaglio.
Ieri sera, in bagno, mentre si rivestiva, mi chiede strizzandosi un po' i testicoli, "ma a cosa servono le palline?". E quindi gli rispondo che dentro, quando si è più grandi, non più bambini, ci si formeranno i semini, quelli che possono servire per far nascere i bambini.
E lui ride e mi dice "Ah! lo so, e quando un maschio e una femmina si danno un bacio in bocca nasce un figlio!"
E io "No, non basta un bacio, amore, ci vuole altro..."
Lui ribatte "Certo, volevo dire un maschio e una femmina sposati!" (da precisare che sposati o fidanzati per lui è un tutt'uno)
E io "Non serve essere sposati, i bambini si possono fare comunque, basta che due persone si vogliano bene"
"Ma come?" fa ancora lui.
E questa è stata la mia ultima uscita, dopo averci riflettuto giusto tre secondi..."Il semino deve arrivare nella farfallina, è lì che stanno gli ovuli della femmina, lì si incontrano, con le coccole che si fanno i grandi quando si amano"
Mi aspettavo una sfilza di domande mirate e precise, già mi preparavo a descrizioni soft dell'atto sessuale...e invece no. Tutto soddisfatto ha detto "Si".
Ed ha cambiato argomento.
So bene che l'argomento non è chiuso, che dovrò essere pronta. Ma mi ha sorpreso la naturalezza con cui lui ha assimilato l'informazione e, sono certa, l'ha fatta sua.
Sono anche un po' orgogliosa di me, e perché no?
Saprò affrontare anche i passi successivi, il sesso, l'omosessualità, l'amore in ogni sua declinazione.
E saprò rimediare alle visioni rigide imposte dal mondo esterno, da una certa società.
Finora ha avuto la fortuna di frequentare scuole in cui nessuno ha cercato di fargli credere che ci sono cose da femmina e cose da maschio, colori, giochi, cartoni, passioni leciti per gli uni e non per gli altri.
Ha 5 anni e ancora gioca liberamente con le bambole o con la sua cucina o con le costruzioni e i treni, senza mai pensare che qualcuno di quei giochi sia inadatto a lui.
Perché nessun gioco è inadatto a lui.
Mai negata una serata di trucco e manicure, né di giochi e lotta con suo padre.
Lui può giocare come desidera, senza vergognarsi di niente.
Cosa che non capita, per esempio, ad alcuni suoi cuginetti che rimarcano sempre come questo o quello siano da femmina, e anche con un'accezione spesso negativa, come se si perdessero punti a fare certi giochi o avere o desiderare certi oggetti.
E lui ancora chiede sostegno a noi "Mamma, babbo, vero che non è solo da femmina questo (...) quello..!?". E finora siamo stati convincenti, non in modo insensato, non negando le differenze dove esistono, ma evidenziando l'insensatezza delle differenziazioni dove non c'è bisogno che ci siano.
Così come non è ancora impressa nella sua mente nessuna differenziazione di ruoli in casa tra maschio e femmina, entrambi lavoriamo e per il resto facciamo un po' come capita, che si tratti della lavatrice, di apparecchiare, cucinare, riordinare, far la spesa, pulire e tutto il resto.
Spero rimanga così limpido e con la mente aperta ancora a lungo, so che non dipenderà solo da noi, che prima o poi qualcuno lo convincerà che un vero maschio fa o non fa delle cose, non piange e non può appassionarsi per cose che non siano sport e motori.
Ma ancora è il mio dolce bambino, bellissimo e puro.


Più educazione civica, meno religione, soprattutto a scuola

Anche a prescindere dagli orribili fatti di cronaca, attacchi terroristici o comunque aggressioni motivate, almeno apparentemente, da questioni di appartenenza religiosa, sono sempre stata convinta che la laicità delle istituzioni pubbliche sia l'unico modo per garantire pari dignità e parità di trattamento indipendentemente dal credo professato o mai considerato parte della propria vita.
Senza laicità non c'è rispetto per la libertà di tutte le persone, non c'è rispetto per la libertà delle famiglie di scegliere un indirizzo educativo, non c'è il riconoscimento dell'uguaglianza.
E in uno stato laico non può esistere una scuola pubblica che, a spese di tutti i cittadini italiani, propone nell'offerta formativa la "religione cattolica" quale materia di studio.
Il fatto che poi ci si possa rifiutare di far frequentare al proprio figlio quelle ore di lezione, mettendo in evidenza differenze che non sarebbe per niente necessario rimarcare (con modalità tra l'altro discutibili, visto che persino la blanda normativa di tutela in vigore viene spesso disattesa dai singoli istituti! vedi per esempio come in molte scuole non venga previsto l'insegnamento della religione alle prime o alle ultime ore), non è abbastanza, non tutela la libertà di nessuno, anzi, obbliga a una dichiarazione di omologazione o di differenziazione su un tema a dir poco sensibile.
Di questi tempi, poi, perché rendere obbligatoria l'apposizione di un'etichetta, in un senso o nell'altro? credente o non credente o appartenente ad altro credo? Che diritto hanno di fare questo?
Non mi interessano i patti a suo tempo sottoscritti tra Stato e Chiesa, non credo sia impossibile rivedere il tutto, ridiscuterli e, soprattutto, riportare la Chiesa cattolica alla pari con tutte le altre confessioni o chi per loro.
Il tutto senza mai, per nessuno, prevedere l'insegnamento di una religione a scuola.
Magari si potrebbe pensare a una sana "educazione alle religioni", nel senso di prevedere un'infarinatura di tutti i credi e, soprattutto, insegnare il rispetto per tutti questi, in quanto elementi fondanti della vita di tante persone.
Stop, tutto qui.
E questa roba qui non dovrebbe semplicemente rientrare nel campo più ampio dell'educazione civica? Io dico di si.
E dico che sarei felice se a mio figlio insegnassero che ci sono mille modi di credere in Dio, che è normale non credere in niente, che l'unica cosa che è davvero richiesta a ciascuno di noi è il rispetto profondo per l'altro e per il suo modo di interpretare la vita.
Abbiamo scelto di non far frequentare al nostro bambino l'ora di religione alla materna e hanno pure provato a convincerci a cambiare idea, garantendo che si sarebbe trattato di un insegnamento blando, generico, non di catechesi. E tutto perché devono far numero per mantenere il posto di un'insegnante pagata dallo Stato ma neppure selezionata da questo stesso Stato!
E siccome non riescono (così dicono) a organizzare tale attività nelle prime o ultime ore, lui si ritrova a gironzolare per le altre classi (nelle quali per fortuna si trova benissimo) insieme all'unico altro compagnetto che si trova nella stessa situazione.
Questa è libertà? Questa è parità di trattamento?
Vi sembra normale che mio figlio debba chiedermi perché lui e Mattia vengono allontanati dalla classe, e io debba spiegargli fin d'ora che la Scuola è organizzata così male da non rispettare la libertà delle famiglie, da imporre la "pubblicizzazione" e condivisione di aspetti della vita che sono prettamente privati.
A lui piace passare del tempo con le altre maestre, non lo vive come un problema. Non ancora.
Ma continuerò a battermi perché quella lezione venga organizzata in orari diversi, così da farlo entrare dopo o uscire prima, cosa che non gli dispiacerà di certo!
Lui sarà poi libero di decidere se frequentare Chiesa, catechismo, tutto quel che vorrà.
Non gli imporrò mai una posizione in proposito e cercherò di fare in modo che anche il suo papà rispetti questo spazio di libertà, anche se gli costerà parecchio.
Ma, certo, non gli nasconderò che dietro ogni religione si celano dogmi, pensieri assoluti, tabù, discriminazioni più o meno velate e, sempre, il rischio di perdere di vista la libertà altrui.
So bene che è un po' quello che succede anche in politica o in altri campi della vita sociale.
E cercheremo di insegnargli che l'estremismo non ha senso mai, in qualunque campo, in qualunque luogo, in qualunque situazione. E anche che lo Stato non ha mai il diritto di privilegiare o discriminare chi professa una religione, qualunque essa sia.

Non c'è un posto sicuro

Quando le giornate sono piene di persone care, affetti, vino e rumori, quelli dei bambini che giocano e che litigano, che si cercano e si cacciano via, quelli delle discussioni accese su argomenti che vanno dall'opportunità delle vaccinazioni alla gestione delle frontiere, dal modo corretto di rapportarsi con un figlio adolescente in piena fase di ribellione, alla presenza o meno di alcune specie nella fauna selvatica sarda, è facile lasciarsi distrarre, essere assorbiti da mille piccolezze, che in quel momento richiedono però tutta la nostra energia mentale, e magari non accorgersi che nel mondo sta succedendo l'ennesimo disastro, che persone ignare vengono investite e accoltellate gratuitamente per strada da due giovani pazzi col cervello fuso che fingono di portare avanti la loro guerra santa.
E quando la notizia ti arriva è sempre un pugno allo stomaco, una sorta di senso di colpa misto a rabbia e rassegnazione, ed immediatamente la ricerca di un modo per spiegare, minimizzare, ridimensionare, per non ammettere che siamo indifesi e impauriti, per non cedere al pessimismo e alla negatività e, soprattutto, agli atteggiamenti reazionari e all'invocazione di derive autoritarie provenienti da più parti e, in primis, da parte della mia famiglia!
E' dura mantenere la calma, è dura mantenere anche una posizione, battersi per la propria visione possibilista del mondo, perché in effetti le cose vanno da schifo, è innegabile, perché se da una parte resto convinta della necessità e inevitabilità dell'accoglienza, anch'io trovo scandaloso che chi si vede negato l'asilo non venga rinviato a casa ma si aggiri e si arrangi in giro per il paese, in modo clandestino e non sempre dandosi ad attività innocue; anch'io trovo inconcepibile che senza documenti di possa andare e tornare, sparire o stare indisturbati per strade e piazze, arrivando a volte ad usare l'aggressività per ottenere ciò che si ritiene un proprio diritto.
E mangiare, vivere decentemente, è davvero un diritto, ma pensare che chi è italiano e ha un auto sia per forza un nababbo e debba perciò finanziarti ed essere sempre ben disposto in quanto tu sei lo sfigato che ne ha patite tante, questo non lo accetto.
Anche tra di noi in tanti hanno i loro bei casini e serie difficoltà a stare a galla, e quando si sentono minacciati da emigrati che più che chiedere pretendono, forse posso arrivare a capirli, a capire il disordine che ne deriva.
Non lo giustifico, ma capisco.
Però so che, se ho il diritto di difendere la mia casa, la mia proprietà, non altrettanto posso fare con il mio paese, so che non si può negare a chi ha bisogno di protezione una via di salvezza, so che non si può biasimare chi non trova sostentamento nel suo paese e viene nel nostro.
Penso solo che le regole debbano essere rispettate, da tutti, anche da chi arriva da fuori. Penso che le regole siano sufficienti ma la vigilanza sul loro rispetto NO.
Penso che in questo paese manchino ancora la serietà e l'onestà intellettuale necessarie per gestire questo fenomeno così come quelli nostrani tutti connessi alla legalità o, meglio, all'assenza di senso di responsabilità.
Di una cosa sono certa: non voglio che mio figlio cresca pensando che chi arriva nel suo paese sia necessariamente un pericolo, un nemico, un usurpatore. Voglio che impari ad essere prudente senza mai scadere nella diffidenza gratuita o, peggio, nell'odio e nel rifiuto dell'altro.
E' difficile, davvero difficile, e se lo è qui, che comunque ancora non si ha la percezione di un'invasione e di un pericolo imminente, non riesco a immaginare quanto debba essere dura restare obiettivi ed educare i propri figli all'apertura in regioni in cui l'incidenza dell'immigrazione è maggiore e la sua ricaduta sulla vita quotidiana evidente e a volte pesante da gestire.
Facciamo quel che possiamo, ci proviamo. Io e Marco manteniamo un atteggiamento positivo e spieghiamo a Luca che ci sono persone, tante persone, tanti bambini, che hanno bisogno di noi, che per responsabilità non loro si trovano a vivere delle vite insostenibili, infelici e a rischiare quelle stesse vite ogni giorno.
Gli insegniamo che è responsabilità di tutti noi che stiamo meglio farcene carico, aiutare ed essere pronti a rinunciare a qualcosa per loro, in un modo o nell'altro. E non per questo penso che sia a rischio la sua identità di sardo, di italiano, di europeo.
Il suo ormai è un mondo globale, nel bene e nel male. Va conosciuto, va gestito, va accettato per quel che è, facendo ognuno la propria parte in proporzione a capacità intellettuali e possibilità finanziarie per poterlo migliorare.
Non ho molto altro da insegnare in proposito.

Neuroni impazziti ai tempi del corona virus

Che dire, sto per perdere la bussola, come tutti. Convivenza continua, incessante e forzata con marito e figlio, mentre la nostalgia di un ...