La mia nonna triste

Oggi pensavo a te, non so, forse ti ho sognata, succede a volte, anche dopo tanti anni.
Una vita lunga la tua, 92 anni vissuti lentamente, scanditi dalle malattie e dalle morti dei tuoi cari e delle altre persone che ti stavano accanto. 92 anni tutti da raccontare, lucidi nei ricordi che, senza nostalgia ma con piacere, condividevi con me o con chiunque avesse voglia di ascoltare. E' che non erano in tanti ad ascoltare, quindi credo piacesse a te quanto a me stare lì, davanti al camino, che ci fosse il fuoco acceso o no, a parlare per ore, a sussurrare, che pure il tuo tono di voce era rassegnato e stanco.
A volte devo confessare che mi costava stare lì mentre la mia giovinezza istintivamente mi ricordava che fuori c'erano amici, amori, cose da fare e che gli altri avrebbero fatto senza di me! Avevo la mia vita abbozzata da portare avanti, da gustare e da sprecare anche un po'.
Ma la maggior parte delle volte era un vero piacere starti a sentire, condurti pian piano, domandando e commentando solo un po', in quell'intrico di storie, tue o di persone che avevi conosciuto o anche storie che avevi solo sentito raccontare ma che ricordavi in ogni particolare, perché ormai ti appartenevano.
Stavi china, con la tua giacchina nera e in tasca un fazzoletto per asciugare le lacrime che scendevano, per l'età e non per l'emozione... 
Di solito tenevi il fazzoletto nero sulla testa ma se faceva caldo  potevo vedere i tuoi lunghi e lisci capelli grigio-bianchi raccolti in una crocchia ormai ridotta a poco, fermata con qualche forcina o con il pettinino. Eri tutta vestita di nero, forse dalla morte di nonno, o forse da quella precedente di tuo figlio. Eri vestita di nero perché in paese ci si aspettava che lo facessi, o forse tutto sommato non ci avrebbero poi fatto caso, eri tu quella si condannava al lutto perché non avresti potuto fare diversamente. La trasgressione non rientrava tra le cose per te accettabili. Eppure sono quasi certa che dopo la morte di nonno sia in realtà iniziata per te una nuova vita, sempre dimessa e silenziosa, ma di sicuro un po' più serena e aperta alla curiosità.

Ci sono voluti anni ma ricordo che pian piano hai cominciato ad assaggiare cibi nuovi, cosa eccezionale per te che, nata povera, eri incredibilmente schizzinosa! Guardavi nuovi programmi in TV, per poi dire che non ti piacevano né ti interessavano, gestivi con parsimonia ma con piacere quei pochi soldi che facevano la tua indipendenza economica. Questa era tutta la libertà che ti concedevi, ma io lo so che era già tanto, che era qualcosa di nuovo, che ti sorprendeva e ti restituiva il piacere di vivere.
E anche raccontare di te era qualcosa che non avevi mai fatto prima, non si poteva, del resto persino allora, a sostituire nonno, ci si metteva mio padre, tuo figlio, a mettere in dubbio la veridicità di certi racconti, di episodi troppo amari per poterli accettare.
Ma di solito stavamo sole, con le seggiole basse una accanto all'altra, e a volte ti tenevo la mano. Ti piaceva essere accarezzata, anche se non sapevi dirlo. Ti piaceva quando ti sistemavo le unghie e, fingendo che fossi io a costringerti, ti lasciavi stendere un velo di smalto trasparente! Niente di più, ma sapevo quanto potesse valere per te quello sgarro alle regole della sobrietà. E abbozzavi un sorriso, come una bambina, perché ridere davvero era un'altra di quelle attività che ti sono rimaste estranee fino alla fine; quando ti sfuggiva un risolino lo soffocavi e nascondevi la bocca con una mano.
E intanto raccontavi, a volte non c'era proprio bisogno di chiedere, i ricordi si susseguivano, spontanei, con parole semplici e con abbondanza di dettagli, come se le immagini fossero ancora lì, davanti ai tuoi occhi di vecchia.
E tornavi ad essere quella bambina un po' introversa e solitaria che andava alla scuola elementare nel vecchio edificio vicino a casa, curiosa e avida di nuove conoscenze e nozioni. Ti piaceva la tua maestra, era gentile e veniva da un'altra regione. Lei ti apprezzava, ti stimolava e incoraggiava.
Eri brava, apprendevi in fretta e ne andavi orgogliosa. Ricordavi ancora tutte le cose che ti aveva insegnato o che avevi letto in quell'unico libro di cui disponevi. Erano solo nozioni, sprazzi di storia e geografia, poesie, qualche racconto. Ma ne conservavi un ricordo affettuoso, come si fa con le cose preziose, penso addirittura che ogni tanto ripassassi tutto mentalmente per non permettere a quelle poche conoscenze di svanire. Era il tuo piccolo bagaglio di cultura, molto piccolo, visto che ben preso, forse quando eri in terza, i tuoi genitori presero per te una decisione che ti ha segnata per sempre.
Nonostante la maestra si fosse persino presentata a casa a implorare tuo padre di lasciarti frequentare la scuola, decisero che non si poteva più, che la piccola Beatrice doveva stare a casa ad occuparsi dei suoi genitori, che intanto si erano ammalati, non si sa bene di cosa, e non erano più autosufficienti. Tutti i tuoi sogni morirono quel giorno. Non dicesti una parola, come sempre, forse per la prima volta, cominciasti a pensare di essere condannata a un destino crudele, di essere l'agnello sacrificale, mentre le tue sorelle maggiori prendevano altre strade, a dirla tutta non molto più vantaggiose della tua, e tu iniziavi a invidiarle e, forse, a provare risentimento nei loro confronti.
Eri solo una bambina, e sei sempre rimasta convinta che andare a scuola ti avrebbe dato un destino diverso, che saresti sempre stata brava e diligente, una piccola studiosa di cui i tuoi avrebbero dovuto essere orgogliosi! Ma è andata così, la piccola Beatrice ha cominciato a maledire se stessa e la vita e si è dedicata a compiti e responsabilità che sarebbero stati pesanti anche per un adulto.
Nel giro di poco tuo padre era bloccato su un letto, con le gambe gonfie e doloranti, affetto da una malattia indefinita che allora veniva semplicemente chiamata "Quel male". Poi la tua mamma...e anche se non ricordo bene tempi e successione degli eventi, entrambi morirono ancora giovani.
Quella piccola casa di pietra, con una cucina che di notte si riempiva di stuoie per dormire e una sola camera da letto, che forse era anche la stanza per accogliere gli ospiti, ti vedeva spesso affacciata alla finestra, a guardare gli altri bambini giocare e correre, poveri, malvestiti, spesso scalzi, ma spensierati. E non ammettesti mai di aver provato invidia, né per loro né, più avanti, per le tue sorelle che andavano a ballare in piazza mentre tu dovevi occuparti della casa e dei vecchi.
"Non ero fatta per quelle cose, non mi piaceva ballare, volevo solo stare sola" dicevi, ma era lampante che invece avevi desiderato tanto vivere qualcosa di speciale, essere libera, essere amata, anche se non l'avresti ammesso neanche con te stessa.
E quando sei cresciuta, convinta che il tuo mondo fosse completo così com'era, ecco che si fa avanti un pretendente, anzi, la sua famiglia, che allora si usava così. Volevano Beatrice in sposa per il loro figlio bello e aitante, per il loro figlio che quasi non ti conosceva e che passava le serate in piazza con le altre, più attraenti di te, più socievoli, più accomodanti.
Non ho mai capito perché insistettero per fare di voi una coppia, non c'era nessun vantaggio economico, da una parte e dall'altra, non c'era nessun incidente da sistemare, non c'era alcun motivo per il quale avreste dovuto sposarvi. Eppure, nonostante le tue rimostranze, ancora una volta qualcun altro decise per te; anche le tue sorelle più grandi, ancora nubili, si schierarono con i tuoi per spingerti a dire si.
Che poi cosa valeva la tua parola? Di sicuro la decisione era già presa, tu non avevi il diritto di opporti, con che coraggio rifiutare una proposta, con quale alterigia! E accantonate le deboli proteste passasti al pianto silenzioso, alla disperazione. Non avevi mai desiderato un uomo, non avevi mai provato l'abbozzo di un sentimento o di una vaga attrazione per l'altro sesso; ti credevo quando dicevi di non averne mai sentito il bisogno, di non aver mai capito quei giochi amorosi, quegli sguardi complici, quegli incontri furtivi. Non ti interessavano e basta. Non desideravi neppure diventare suora, alternativa all'epoca in voga, avevi fede ma il tuo sogno era solo stare tranquilla, stare in pace, a vivere di rimpianti e amarezza.
E non avevi mai desiderato un figlio (ecco che ancora una volta qualcosa ci accomunava...).
Il fidanzamento fu suggellato con un misero pranzo tra consuoceri e poi lui prese il largo come soldato. Era la seconda guerra mondiale, anche se in paese, l'unico posto in cui eri stata fino ad allora, neanche ci si accorgeva del conflitto in corso! Divise da giovani balilla a scuola e qualche frase fatta ma soldati ne avete visto ben pochi. Solo sfollati provenienti dalla città, unici testimoni della guerra in corso.
E mentre lui era via arrivò la notizia che si era ammalato. Ed ecco che ricominciasti a sperare, "forse così malato non me lo faranno sposare, forse sarò salva"; e lo dicesti ai tuoi, provasti timidamente a chiedere di poterti tirare indietro, di solito funzionava così in caso di malattia. E mentre lui era in ospedale forse neppure speravi che si riprendesse, non per egoismo ma solo per istinto di sopravvivenza! Ma non ti ascoltarono, lui tornò in paese, più o meno guarito (mai capito da cosa), e poco dopo eravate marito e moglie. So bene che la cosa non rese felice neanche lui, non eri tu il suo sogno, non so se ne avesse uno...
E poi i figli, uno dopo l'altro, almeno 2 persi nei primi mesi di vita, anche questo come era di norma in quei tempi. Un'infezione, la malnutrizione, la dissenteria e i bambini se ne andavano. Ma ne arrivava subito un altro e non c'era tempo per piangere le perdite.
E arrivò anche lui, mio padre, il tuo preferito mi dicevi. Claudio era introverso, bello, timido. E aveva un carattere difficile, soffriva della rigidità e della freddezza di tuo marito. Nonno era severo, altero, irascibile, con te come con i figli. E tu non eri capace di essere tenera e affettuosa come, sono certa, avresti voluto, tu non avevi conosciuto tenerezza e non potevi regalarla a quelle creature che tanto amavi. E loro te ne hanno fatto una colpa, di quello e di aver lasciato che lui decidesse sempre per tutti.  Nessuno di loro ricorda di aver ricevuto una carezza, di essersi sentito amato e protetto. Ti volevano bene, tanto, ma anche i loro ricordi sono diventati tristi e amareggiati come i tuoi.
Il tempo li ha resi persone più forti, li ha sparpagliati lontano dal paese e gli ha concesso una vita migliore, un lavoro, una famiglia. E tu, lo so, eri felice per loro, anche se avresti voluto ancora di più per i tuoi figli adorati.
Non so dire fino a che punto, col tempo, vi siete avvicinati; ti prendevi cura di noi nipoti, ci ospitavi sempre come fosse casa nostra, e loro si sono presi cura di te fino alla fine, quando sei diventata vecchia e malata. Ti hanno amato tanto e, sono certa anche di questo, non te l'hanno mai detto...o forse qualcuno, solo, in quella stanza in cui ti andavi spegnendo piano, incapace di parlare, te l'avrà sussurrato all'orecchio? Non lo so. So che l'ho fatto io, di nascosto, trovando un momento in mezzo a quel viavai di persone care e meno care che si avvicendavano davanti al tuo letto.
Mi manchi. So quanto mi volevi bene, mi azzardo persino a pensare di essere stata la tua preferita, perché avrei voluto fosse così. Scriverò ancora di te, lo so. Sei la mia nonna triste, la mia nonna buona con l'anima nera. Sei una parte di me e io ti somiglio un po', anche se, come mi hai sempre insegnato, mi sono fatta rispettare nella vita, lo faccio sempre!

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