Tre giorni di congedo causa mestruazioni!?

"Tre giorni al mese di riposo durante il ciclo mestruale. È quanto prevede la proposta di legge presentata alla Camera lo scorso 27 aprile e attualmente all'esame della Commissione lavoro che mira all'istituzione del "congedo per le donne che soffrono di dismenorrea". La proposta, firmata dalle deputate Pd Romina Mura, Daniela Sbrollini, Maria Iacono e Simonetta Rubinato, tende a introdurre un congedo senza riduzione di stipendio...."
Questa incredibile notizia apparsa nei giorni scorsi sulla stampa, per quanto ampiamente preannunciata, mi ha lasciato ancora una volta l'amaro in bocca per l'incredibile vocazione all'autolesionismo di noi donne!
La prima volta che ho sentito parlare della proposta, pubblicizzata dalla Mura (mia conterranea) come iniziativa all'avanguardia per la tutela della donna, neppure l'ho presa sul serio. Ho pensato "ma chi vuoi che se la fili una simile cazzata? Ma come si può essere donne e ridursi a tanto? Ma quante donne si incazzeranno!". E invece NO.
Nessuna sollevazione indignata, nessuno scatto d'orgoglio. Silenzio.
Solo parlando con colleghi e colleghe ho trovato chi, come me, riteneva superflua la proposta normativa, visto che in Italia, se stai male, basta un certificato medico e te ne stati a casa a riposo, anche senza sbandierare ai quattro venti che quelli sono i giorni in cui il ciclo ti mette KO. Non è una questione di pudore, è che proprio non si sentiva il bisogno di una trovata simile (che spero non diventi mai legge!), perché è chiaro che si trasformerà in un boomerang che si abbatterà su noi donne, su tutte le donne, anche quelle che credono fermamente nella parità tra uomo e donna!
E' vero che la dismenorrea può essere invalidante, lo dice una che ha sofferto per anni, fin dai tempi della scuola, con assenze inevitabili o repentini riaccompagnamenti a casa perché  il dolore non consentiva al cervello di connettere! E certamente ci sono donne che soffrono di disturbi ancora più intensi e che hanno tutto il diritto di stare a casa quando questi sono insopportabili. Ma quel diritto c'è già. Se stai male sei malato, se sei malato puoi stare a casa presentando un semplice certificato medico.
Ma questo vale per le donne come per gli uomini. E i datori di lavoro per i quali anche mettersi in malattia può essere interpretato come assenteismo e mal digerito, non cambieranno certo atteggiamento se quell'assenza sarà chiamata in un altro modo e quel diritto sarà normato dall'ennesima legge. Sarà tutto uguale. Anzi, sarà peggio.
In tempi nei quali ci lamentiamo del sessismo dilagante, degli atteggiamenti, degli spot, delle immagini e degli stereotipi che dipingono le donne come semplici corpi da guardare, usare, violare, senza cervello e con innata vocazione per il lavoro domestico, ecco che siamo noi donne ad aggiungere un mattoncino a quel muro già solido di pregiudizio.
Ma non bastano le battutine e le allusioni che già si fanno abitualmente sul malfunzionamento della nostra psiche nei giorni in cui quel flusso ci costringe ad adottare mille accorgimenti per rendere la cosa tollerabile e compatibile con le nostre mille attività? Non ci sentiamo abbastanza offese dai riferimenti al ciclo e agli ormoni che gli uomini rispolverano ogni volta che non siamo gentili o disponibili come vorrebbero? Ogni volta che sbottiamo, a casa o al lavoro, ogni volta che siamo stanche, ogni volta che pretendiamo attenzione e rispetto o cerchiamo di far valere le nostre ragioni? Per me ce n'è fin troppo! Non sento proprio il bisogno di ricordare a tutti che, probabilmente, in alcuni giorni del mese potrei non essere al top! Magari sarà così, o magari no.
Non sono i congedi dedicati la soluzione ma piuttosto la fornitura di ausili medici e farmacologici che riducano i sintomi della dismenorrea. E magari la maggiore diffusione di soluzioni (del resto già esistenti) che consentano persino di eliminare la cadenza mensile delle mestruazioni. Siamo animali e come tali ci trasciniamo dietro questo retaggio di sofferenza, un po' come succede per il parto. Ma chi dice che debba essere così per forza, che non si possa scegliere di non soffrire, che non ci si possa sentire donne anche senza questi inutili piccoli martirii.
Io non ho bisogno del ciclo per sentirmi donna, come non avevo bisogno di partorire con dolore o allattare. Ognuno fa quel che sente e che desidera ma credo che la riduzione del dolore, in ogni campo, sia un serio obiettivo da perseguire. E in Italia non lo si fa mai abbastanza, non seriamente.
Io sono una donna. Assolutamente si. Ma sul lavoro non sono diversa da un uomo, non ho bisogno di cose diverse, non so fare di meno o di più, non sono più o meno capace. Noi siamo uguali e abbiamo gli stessi diritti.
Non ho una sensibilità più spiccata di un uomo, non piango più di un uomo, non sono meno competitiva in quanto donna (al massimo lo sono in quanto Laura, che proprio della competizione fa volentieri a meno), soprattutto non sono meno brava di un uomo e lo sono di più e spesso, non perché donna ma perché, come dico sempre, il lavoro lo rispetto e ci metto impegno e testa, almeno quando è possibile.
E' una vita che mi rifiuto di festeggiare l'8 marzo, un po' perché non amo i ritrovi di sole donne, molto di più perché penso che non siamo una specie in via di estinzione o un soggetto debole da celebrare perché ci si ricordi che esiste e che ha delle specificità! 
Ancora mi sento umiliata all'idea delle quote rosa, che siano istituite in politica, sul lavoro o in qualunque altro ambito. La parità tra uomo donna, penso io, non deve necessariamente passare attraverso la parità numerica. Non ha senso dare priorità per quote magari sacrificando persone più valide, al di là del loro sesso.
Vivo in una piccola città e provengo da un piccolo paese. Non siamo certo all'avanguardia in materia di parità, eppure nemmeno qui, in questo ambiente a volte chiuso e pieno di pregiudizi, sono convinta che una donna debba fare di più per farsi strada, debba dimostrare di valere di più rispetto a un uomo per essere considerata in una selezione di lavoro, debba accontentarsi di essere pagata meno rispetto a un uomo e così via. Non è così, non nella realtà che conosco, né al lavoro né fuori.
A meno che quella donna non viva se stessa in quel modo, incarnando in pieno lo stereotipo.
Se passi il tempo a lamentarti del fatto che gli uomini sono trattati meglio, che solo perché sei donna non sei stata votata o selezionata, se gridi al complotto ogni volta che le cose non vanno come vorresti, forse il problema è tuo, forse ti proponi nel modo sbagliato.
Chi parte con l'idea d'essere per natura discriminato, probabilmente sarà discriminato, o almeno ne avrà la percezione. 
La condizione della donna, nel mondo, è qualcosa che varia e non poco. Ci sono paesi in cui la nostra dignità di persone viene lesa ogni giorno, ci sono realtà nelle quali non contiamo, non possiamo esprimerci, non possiamo essere liberamente ciò che vogliamo.
E anche nel nostro paese (intendendo l'Italia in generale) quasi quotidianamente si legge di violenze, aggressioni, femminicidi, frutto di una cultura maschilista che stenta a farsi una ragione del fatto che certe differenze tra i sessi non ci sono più, non hanno più ragione d'essere. Ma quella cultura maschilista sta anche dentro le nostre teste, la alimentiamo ogni giorno, a volte fingendo di combatterla e contestarla. Dobbiamo pretendere il rispetto come persone, dobbiamo far valere il nostro diritto all'autodeterminazione, dobbiamo essere semplicemente ciò che affermiamo di essere: esseri umani, prima ancora che donne.
E' stupido dare agli altri la responsabilità per le cose che non facciamo, per i posti in cui non andiamo, per le amicizie che non frequentiamo, per l'angolo femminile in cui siamo relegate in un tavolo affollato. Io non ci sto. Io non faccio quello che si aspettano gli altri, maschi o femmine che siano, sto con chi mi pare, mi siedo dove mi pare, la penso come mi pare e mi sento assolutamente a posto con me stessa e con chi mi circonda.
Non accetto di essere messa all'angolo, allontano le persone che davvero pensano che essere donna significhi dover stare al proprio posto (quale poi?). Non amo quegli uomini e quelle donne; anzi, non sopporto soprattutto quelle donne! Quelle che cercano di insegnarti e spiegarti perché le cose sono così e devono stare così, immutabili, quelle che ti raccontano come deve pensare, agire, vivere e sacrificarsi una vera donna! Quelle che poi criticano e fingono di non tollerare quegli uomini che loro stesse educano e/o sposano e/o amano.
Siamo diversi fisicamente, forse più deboli (cosa poi non vera universalmente), ma per me le differenze si fermano qui. E qui mi fermo, l'argomento mi ha stancato...
Di sicuro quelle parlamentari si sono giocate il mio voto!
 

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