Quale mondo per questi figli

E' successo ancora, un kamikaze che si fa saltare in aria e la vita di una ventina di ragazzini, in attesa della loro popstar preferita, finisce in un soffio, portandosi via, probabilmente, anche quella dei loro genitori disperati.
Ormai il primo pensiero va a mio figlio ogni volta che succedono fatti di questo genere.
C'è il dolore per la tragedia di quelle famiglie ma c'è soprattutto la comprensione e il terrore perché so che cose simili accadranno ancora e che potrebbero riguardare noi la prossima volta.
Nessuno è immune, non c'è una vera strategia per difendersi o proteggere i propri figli, se non quella di chiudersi in casa e rinunciare a vivere o impedire loro di vivere.
Il mio bambino ha solo 5 anni, cerca di capire cosa succede ma, alla fine, tutto quello che vuole sentire è che certe cose non si verificano nel nostro paese, nei dintorni della nostra casa, nei posti che frequentiamo. Ed è così piccolo che è giusto possa crederci.
Ma chi ha le risposte ormai? Nessuno è al sicuro e, anche se penso che qui in Sardegna il rischio sia davvero irrisorio, la nostra casa è il mondo ormai, lo sarà soprattutto per quelli come mio figlio, giovani, potenzialmente viaggiatori, studenti o lavoratori in paesi sempre più lontani.
Che razza di mondo dovrà affrontare questo bellissimo tenero bambino tra qualche anno?! Che razza di inferno conosceranno tutti i bambini di oggi? E parlo dei nostri bambini, ancora protetti, ignari, ancora liberi di giocare, sperare, credere che il mondo sia un bel posto, che in altri posti l'infanzia l'hanno già perduta, buttata via da adulti spietati e da politiche cieche.
Probabilmente salterà fuori che l'attentatore era un cittadino inglese, poco importa. Ciò che conta è che ancora una volta sarà alimentata la paura e l'odio verso chi è diverso da noi. Qualcuno ne approfitterà ma, anche senza che i politici strumentalizzino l'accaduto, sarà la gente comune a rafforzare in sé la convinzione che proteggersi è una priorità, che dobbiamo difenderci e non accogliere, che tutti quelli che arrivano dall'esterno sono potenzialmente pericolosi e, perciò, vanno tenuto fuori.
Con che diritto lo facciamo? Con che diritto cerchiamo di impedire a chi cerca una via di fuga o salvezza, o anche solo a chi cerca una vita migliore, di entrare nel nostro paese o nella nostra Europa, di giocarsi una possibilità di riscatto, forse l'unica.
Se io fossi siriana e avessi un figlio sarei certamente fuggita; se io fossi anche solo lontanamente a rischio bombardamenti, ritorsioni, torture, arresti, violenze; se io non avessi un pezzo di pane per sfamare il mio bambino, sarei disposta a tutto per raggiungere un posto migliore, uno in cui dare una speranza alla mia famiglia, uno in cui, persino quando si sta male e si è poveri, comunque non si muore di fame. Uno in cui una possibilità esiste sempre.
Lo so che in Italia i poveri ci sono, lo so che esistono ancora i senzatetto, anzi, che il loro numero è in crescita. Lo so che anche di freddo si può morire quando non si ha un rifugio caldo in cui dormire. Ma sono certa che non è a queste persone che si pensa quando si fanno discorsi del tipo: "prima bisognerebbe pensare agli italiani, prima bisognerebbe aiutare le nostre famiglie bisognose, quelle che stanno patendo le conseguenze della crisi economica, quelli che hanno perso il lavoro, quelli che non lo trovano"...e così via.
Se si esclude quella importante e vitale quota di persone che si impegnano nel volontariato o che finanziano progetti e interventi piccoli o grandi che sostengano le fasce deboli di popolazione, tutto il resto degli italiani ha iniziato ben prima di questa così detta "ondata migratoria" a protestare per le risorse che, a sentir loro, vengono sempre destinate alle categorie di persone sbagliate.
Prima erano i Rom, gli sfaticati che chiedono l'elemosina per strada, i meridionali, i disoccupati sempre meridionali, gli assegnatari di case popolari chiunque essi siano, quelli che dicono di essere poveri ma non si vestono e non si comportano come tali.
L'invidia, l'egoismo, la sfiducia nelle istituzioni e nel prossimo, la tendenza a volere il male del prossimo se non si ottiene il bene proprio, queste sono storture che ci appartengono, che forse esistono da sempre, che non sono in alcun modo temperate neanche quando apparentemente l'Italia si mostra nella sua veste migliore, quella solidale e attiva di fronte a disastri naturali o storie commoventi.
Dentro alberga sempre l'egoismo e la convinzione che, se ci manca qualcosa, sicuramente qualcun altro, con dolo e in modo scorretto, ce l'ha portata via.
In questo paese nessuna graduatoria, nessuna procedura di scelta, nessun ordine di priorità vengono considerati validi, corretti, condivisibili se non ricomprendono noi stessi. Si dice che è tutto manovrato, che è un imbroglio, senza preoccuparsi neppure di ragionare prima di aprir bocca.
E' una vecchia abitudine e deriva dal fatto che, ogni volta che ce ne danno l'occasione, cerchiamo di prevaricare il prossimo e ottenere anche ciò che non ci spetta o non ci occorre.
E' così che molte famiglie educano i propri bambini, magari portandoli poi a messa la domenica o facendogli credere che a far la prima comunione e dire due preghiere la sera ci si lavi la coscienza.
Come al solito ho divagato, magari ho esagerato un po' con lo stereotipo dell'italiano ma, purtroppo, non ne sono convinta. Conosco persone splendide, che sono splendide con me, con la famiglia, con gli amici, con il vicino di casa, con l'avventore che chiede aiuto. Ma sono le stesse persone, lo so bene, che la pensano esattamente come ho detto sopra, che educano i propri figli a essere "splendidi" solo in superficie, che per proteggerli ritengono sia giusto impedire una vita migliore ad altri figli che non sono i loro.
Molte volte non sono neanche coscienti di essere così. Chissà, magari io stessa non so chi sono e mi illudo soltanto di insegnare a mio figlio che tutti hanno diritto di provarci, di migliorarsi, di cercare un posto per essere felici.

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